Un incubo senza una data di scadenza. Questa in due parole la realtà per 9mila richiedenti asilo bloccati indefinitamente sull’isola di Lesbo, in Grecia. Intere famiglie, bambini, adolescenti sono imprigionati nel campo profughi di Moria, pensato per accogliere non più di 3mila di persone. “Il processo è troppo lento. Conosco persone che sono arrivate qui un paio di mesi fa e hanno il primo colloquio per la loro domanda d’asilo a maggio del 2019”, spiega un dottoressa di Medici senza frontiere.Tra poco, poi, arriva l’inverno. “Non abbiamo coperte, acqua calda, un posto dove dormire”, spiega un ragazzo sulla trentina. “Ho una figlia di neanche un anno che dorme in questa tenda. Come facciamo?”, si chiede. “Questo è un crimine contro l’umanità”.
Quello che impressiona a Moria, oltre alle condizioni disumane del campo-prigione tra sporcizia e sovraffollamento, è la quantità di bambini. Basta farsi un giro tra gli ulivi e le tende per incontrarne decine. “Ci sono bambini anche piccoli che manifestano attacchi di panico e d’ansia, fino ad arrivare a tentativi di suicidio“, ci racconta Carola Buscemi, pediatra di Medici senza Frontiere. “Abbiamo in cura un bambino di sette anni che viene dall’Iraq. È rimasto traumatizzato in quanto la sua casa è stata completamente distrutta dalle bombe e i suoi vicini sono morti. Da questo momento ha iniziato ad avere attacchi di panico fino a un vero e proprio tentativo di suicidio. Suo padre l’ha preso in tempo mentre cercava di impiccarsi al ventilatore con una corda. Poi sono venuti qui e suo padre è venuto da me. Era disperato perché questa volta aveva appena cercato di suicidarsi buttandosi giù da un container”.
Ma quello di Carola è solo un esempio dei tanti. Come spiega sempre l’organizzazione umanitaria, infatti, da febbraio a giugno di quest’anno, durante le terapie di gruppo rivolte ai bambini tra i 6 e i 18 anni, le équipe dei medici hanno osservato che quasi un quarto dei bambini ha avuto episodi di autolesionismo, ha tentato il suicidio o ha pensato di togliersi la vita. Altri, invece, soffrono di mutismo selettivo, attacchi di panico, ansia, scatti d’ira e incubi costanti.
Oltre ai più piccoli, questi problemi colpiscono anche adulti e ragazzi sopra ai 18 anni. “Con i miei pazienti, all’inizio, non riesco nemmeno a parlarci perché sono allucinati”, spiega Alessandro Barberio, psichiatra di Msf. “Mi hanno colpito molto questi sintomi perché sono ben strutturai. Sono allucinazioni uditive e visive legate a traumi precedenti. Molti pazienti sono infatti vittime di guerra o di torture prolungate. A incidere e a fare aggravare la situazione, però, è anche la mancanza di un aspettativa, di una soluzione e di una risposta qui, a Lesbo”. E in quanto ai numeri la percentuale è chiara: “Manifesta questi sintomi almeno l’80% dei nostri pazienti”. Uno dei casi più recenti che sta seguendo Barberio riguarda un paziente con sintomi psicotici che anche durante la sessione ha avuto allucinazioni. “Sentiva l’odore del sangue . L’odore del sangue di suo fratello che era stato decapitato davanti a lui”, spiega.
“Moria male…molto, molto male”. È con queste parole che Manaal, bambina afghana di 10 anni, descrive il campo profughi di Lesbo. Quando la incontriamo è lei a venirci incontro. “La mia famiglia…sette persone. Siamo arrivati otto mesi fa”. Le chiediamo allora dove dorme e a quel punto indica una tenda dietro di lei. “Dormiamo tutti lì”, spiega. “Questa è casa. La mamma ci fa la doccia qui”, afferma guardando una bacinella per terra. E poi per finire ripete ancora una volta: “Moria male…molto grigia…non bene Moria”.